Compleanno in Pakistan
In coincidenza con il brutale assassinio della Bhutto vorrei narrarvi, brevemente, uno dei miei peggiori compleanni mirati, quello a Karachi, nel Pakistan, per l’appunto.
Avevo un piano ben preciso perché conoscevo i pericoli del posto e anche la bruttezza dello stesso e con questo non voglio offendere i pakistani che vivono in luoghi anche stupendi.
Karachi è una megalopoli mostruosa, soprattutto per affollamento, per inquinamento e per densità di povertà e di malattie gravi ormai divenute endemiche.
Giunsi all’aeroporto intorno alle dodici del mattino, ma all’aperto il sole infuocava già tutto ed eravamo, certamente, oltre i 45°C all’ombra. Con un taxi mi diressi allo Sheraton al centro della città, non molto costoso lì come in quasi tutta l’Asia. Attraversai un’unica enorme, sterminata, strada che dall’aeroporto conduce al centro di quella che molti credono sia la capitale del Pakistan, ma che è solo la città più importante di quel Paese.
Per darvi un’idea, pensate agli Champs Élysées. Una strada molto più larga e molti chilometri più lunga, ma non erano gli Champs Élysées. Migliaia di motorini, furgoncini tipo Ape e piccolissimi bus pubblici e privati con i viaggiatori appesi ai finestrini o ammassati sui tetti dei veicoli intasavano completamente il traffico. Si aveva l’impressione come di un esodo di massa per motivi bellici, ma era un giorno come un altro, come mi spiegò il tassista. Praticamente non si procedeva di un solo passo e solo ogni 10-12 minuti si avanzava di pochissimo. Stare in una camera a gas sarebbe stato meno velenoso. Il caldo insopportabile, il rumore assordante, il gas e la vista di quei disperati aggrappati ai veicoli, tutto contribuiva a farmi comprendere com’è l’inferno, se esiste un inferno oltre quello terrestre.
Finalmente giunsi in hotel e scelsi un piano altissimo per una regola che seguo sempre in posti ad alto rischio terroristico. Infatti, soltanto un anno dopo, un gruppo di sei o sette francesi, se ben ricordo, nello stesso hotel, fu massacrato da un’esplosione di un furgoncino kamikaze davanti alla porta d’ingresso.
Mi chiesi come mai le finestre avessero orribili inferriate nere, come in carcere, ma l’interrogativo durò poco perché guardando fuori vidi che migliaia di enormi corvi neri volavano su Karachi e, evidentemente, le inferriate servivano a non avere in camera ospiti sgraditi.
Il Pakistan, come si sa, è in guerra da sempre, soprattutto con l’India, e dunque non mi sorpresi nel vedere che, seduto su di una poltroncina, a ogni piano dell’hotel, vi era un poliziotto in borghese che non tentava di nascondere un’enorme pistola infilata nella cintura dei pantaloni e pronta all’uso.
Avevo deciso di fermarmi solo 20 ore e così feci. Solitamente in questi posti (Karachi, Jakarta, Surabaya e molti altri) non è possibile fare la doccia perché l’acqua esce di colore marroncino chiaro e l’unica è portarsi da casa dei fazzoletti detergenti con cui lavarsi. I denti vanno lavati esclusivamente con acqua minerale sigillata o con whisky.
Scesi al ristorante interno all’hotel soltanto per la cena.
Mangiai, come quasi sempre in Oriente, bistecca ai ferri, molto cotta, e patatine fritte. Poi chiesi “Pineapple in a metal box” (ananas in scatola). Il capocameriere continuava a chiedermi incredulo se aveva capito bene e mi mostrava un tavolo grande pieno di frutta fresca di ogni tipo. Per non offenderlo non gli dissi che quella frutta la poteva mangiare lui e che io preferivo le ananas in scatola delle Azzorre, magari.
La mattina dopo, alle otto, ero di nuovo in aeroporto.Non ricordo se all’andata o al ritorno, nel corso di una delle innumerevoli soste, assistetti a questa scena: la scena del dentista. Non so se in quel paese esistano o meno i dentisti come da noi, di certo esistono i dentisti ambulanti, lungo la strada, a fianco alle auto, senza un solo albero e sotto un sole che avrebbe bruciato anche un abitante di Jeddah. Un poliziotto si avvicinò al “dottore” e gli fece segno che gli doleva fortemente il dente. L’altro, con aria professionale, seppure ricoperto di stracci, gli osservò l’interno della bocca, dopo averlo fatto sedere su di un piccolo sgabello.
Aprì una borsa e rovistando tra ferri non sterilizzati, ma molto arrugginiti, tirò fuori una tenaglia e così, senza pensarci e senza anestesia, tirò con quanta forza avesse in corpo e ottenne il dente malato insieme a uno spruzzo di sangue in faccia dove immagino ci fossero tutti i virus delle varie epatiti, dalla A alla Z, comprese quelle ancora da scoprire.
Giunto in aeroporto il poliziotto osservò il mio passaporto e si avvide che ero giunto lì 20 ore prima.
Mi chiese per quale motivo fossi venuto a Karachi.
“Tourism”.
“Tourism? One day, in Karachi?”.
“Yes, tourism, one day, in Karachi”.
E lui fece quel gesto internazionale con la mano che significa: aspetta che ti sistemo io.
Chiamò altre due guardie e mi fece portare in uno stanzino dove fui spogliato completamente e perquisito. Anche i miei abiti furono sottoposti a controlli rigidissimi, ma alla fine mi lasciarono andare.
Un padre e un figlio italiani, esattamente una settimana dopo, si recarono a Karachi e seguirono il mio stesso piano, ma questa volta il poliziotto (forse lo stesso) fu molto più severo e scucì le fodere dei loro vestiti e tagliò a metà le suole delle scarpe, pur senza trovare nulla.
Anche in questo caso fu costretto a lasciarli andare.
Non ho nulla contro il Pakistan e contro i pakistani, ma spero di non dover mai più tornare a Karachi.
Ciro Discepolo
www.solarreturns.com
www.cirodiscepolo.it
Avevo un piano ben preciso perché conoscevo i pericoli del posto e anche la bruttezza dello stesso e con questo non voglio offendere i pakistani che vivono in luoghi anche stupendi.
Karachi è una megalopoli mostruosa, soprattutto per affollamento, per inquinamento e per densità di povertà e di malattie gravi ormai divenute endemiche.
Giunsi all’aeroporto intorno alle dodici del mattino, ma all’aperto il sole infuocava già tutto ed eravamo, certamente, oltre i 45°C all’ombra. Con un taxi mi diressi allo Sheraton al centro della città, non molto costoso lì come in quasi tutta l’Asia. Attraversai un’unica enorme, sterminata, strada che dall’aeroporto conduce al centro di quella che molti credono sia la capitale del Pakistan, ma che è solo la città più importante di quel Paese.
Per darvi un’idea, pensate agli Champs Élysées. Una strada molto più larga e molti chilometri più lunga, ma non erano gli Champs Élysées. Migliaia di motorini, furgoncini tipo Ape e piccolissimi bus pubblici e privati con i viaggiatori appesi ai finestrini o ammassati sui tetti dei veicoli intasavano completamente il traffico. Si aveva l’impressione come di un esodo di massa per motivi bellici, ma era un giorno come un altro, come mi spiegò il tassista. Praticamente non si procedeva di un solo passo e solo ogni 10-12 minuti si avanzava di pochissimo. Stare in una camera a gas sarebbe stato meno velenoso. Il caldo insopportabile, il rumore assordante, il gas e la vista di quei disperati aggrappati ai veicoli, tutto contribuiva a farmi comprendere com’è l’inferno, se esiste un inferno oltre quello terrestre.
Finalmente giunsi in hotel e scelsi un piano altissimo per una regola che seguo sempre in posti ad alto rischio terroristico. Infatti, soltanto un anno dopo, un gruppo di sei o sette francesi, se ben ricordo, nello stesso hotel, fu massacrato da un’esplosione di un furgoncino kamikaze davanti alla porta d’ingresso.
Mi chiesi come mai le finestre avessero orribili inferriate nere, come in carcere, ma l’interrogativo durò poco perché guardando fuori vidi che migliaia di enormi corvi neri volavano su Karachi e, evidentemente, le inferriate servivano a non avere in camera ospiti sgraditi.
Il Pakistan, come si sa, è in guerra da sempre, soprattutto con l’India, e dunque non mi sorpresi nel vedere che, seduto su di una poltroncina, a ogni piano dell’hotel, vi era un poliziotto in borghese che non tentava di nascondere un’enorme pistola infilata nella cintura dei pantaloni e pronta all’uso.
Avevo deciso di fermarmi solo 20 ore e così feci. Solitamente in questi posti (Karachi, Jakarta, Surabaya e molti altri) non è possibile fare la doccia perché l’acqua esce di colore marroncino chiaro e l’unica è portarsi da casa dei fazzoletti detergenti con cui lavarsi. I denti vanno lavati esclusivamente con acqua minerale sigillata o con whisky.
Scesi al ristorante interno all’hotel soltanto per la cena.
Mangiai, come quasi sempre in Oriente, bistecca ai ferri, molto cotta, e patatine fritte. Poi chiesi “Pineapple in a metal box” (ananas in scatola). Il capocameriere continuava a chiedermi incredulo se aveva capito bene e mi mostrava un tavolo grande pieno di frutta fresca di ogni tipo. Per non offenderlo non gli dissi che quella frutta la poteva mangiare lui e che io preferivo le ananas in scatola delle Azzorre, magari.
La mattina dopo, alle otto, ero di nuovo in aeroporto.Non ricordo se all’andata o al ritorno, nel corso di una delle innumerevoli soste, assistetti a questa scena: la scena del dentista. Non so se in quel paese esistano o meno i dentisti come da noi, di certo esistono i dentisti ambulanti, lungo la strada, a fianco alle auto, senza un solo albero e sotto un sole che avrebbe bruciato anche un abitante di Jeddah. Un poliziotto si avvicinò al “dottore” e gli fece segno che gli doleva fortemente il dente. L’altro, con aria professionale, seppure ricoperto di stracci, gli osservò l’interno della bocca, dopo averlo fatto sedere su di un piccolo sgabello.
Aprì una borsa e rovistando tra ferri non sterilizzati, ma molto arrugginiti, tirò fuori una tenaglia e così, senza pensarci e senza anestesia, tirò con quanta forza avesse in corpo e ottenne il dente malato insieme a uno spruzzo di sangue in faccia dove immagino ci fossero tutti i virus delle varie epatiti, dalla A alla Z, comprese quelle ancora da scoprire.
Giunto in aeroporto il poliziotto osservò il mio passaporto e si avvide che ero giunto lì 20 ore prima.
Mi chiese per quale motivo fossi venuto a Karachi.
“Tourism”.
“Tourism? One day, in Karachi?”.
“Yes, tourism, one day, in Karachi”.
E lui fece quel gesto internazionale con la mano che significa: aspetta che ti sistemo io.
Chiamò altre due guardie e mi fece portare in uno stanzino dove fui spogliato completamente e perquisito. Anche i miei abiti furono sottoposti a controlli rigidissimi, ma alla fine mi lasciarono andare.
Un padre e un figlio italiani, esattamente una settimana dopo, si recarono a Karachi e seguirono il mio stesso piano, ma questa volta il poliziotto (forse lo stesso) fu molto più severo e scucì le fodere dei loro vestiti e tagliò a metà le suole delle scarpe, pur senza trovare nulla.
Anche in questo caso fu costretto a lasciarli andare.
Non ho nulla contro il Pakistan e contro i pakistani, ma spero di non dover mai più tornare a Karachi.
Ciro Discepolo
www.solarreturns.com
www.cirodiscepolo.it
12 Commenti:
2008
Auguro un bellissomo anno nuovo a tutti voi:abbiamo 366 giorni a disposizione,(anno bisesto)non buttuamolo al vento,MA SFUTTIAMOLO COME SE AVESSIMO UN GIOVE INTERCETTATO AL MC CON UN'ASC IN DECIMA:
caro Ciro,
sono qui a Mlano con il comune amico, Maestro Alberto Triola. Ti abbiamo pensato, gli ho fatto vedere il tuo blog e ci è venuto in mente di mandarti, insieme, i nostri auguri. Ho convinto il nostro Alberto a scriverti un post successivamente perchè in questo momento ha dei transiti bellissimi che... sono silenti... solo tu e i tuoi blogger sapranno rispondere ai suoi quesiti. Terrificante il tuo racconto pakistano, ma indomita la nostra "fede" nelle RSM.
BUON ANNO A TE, ALLE RAGAZZE E A TUTTI I BLOGGER.
Paola e Alberto
Anche da parte mia auguri di un anno bellissimo, e di viaggi di RSM meno terribili di quelli di Ciro!
Ancora auguri a tutti.
Come al solito i racconti di viaggio di Ciro sono affascinanti.
Penso però che anche quelli più disagevoli e faticosi ci lasciano sempre qualcosa dentro e col tempo si rivelano esperienze utili anche loro.
Buon Anno a tutti
Buon Anno a tutti anche da parte mia.
Sabrina
Grazie e felice 2008 anche a Voi Tutti, insieme al maestro Alberto Triola (uno dei musicisti più affermati in Italia) che saluto e a cui do il benvenuto nel nostro blog.
Caro Ciro e cari blogger, mi è capitato in mano mettendo in ordine lo scaffale dei libri dedicati all'astrologia. un delizioso e complicato (per me che sono un po' ottusa...) libro intitolato Astro&Geografia, firmato da discepolo e rossetti. Non lo avevo mai degnato di particolare attenzione ma mi ci sono appassionata. Forse ho capito male, però provo a spiegarmi e chiedervi lumi: in buona sostanza se si "riloca" la propria nascita orario e giorno identitici per un'altra località... i pianeti sono in case diverse e fin qui, mi pare di esserci: mi chiedevo se rileggere la carta alla luce di un luogo diverso dove magari ci sono pianeti importanti per verificare se in quella LOCALITà SI PUò (NEL MIO CASO, AD ESEMPIO) TRASFERENDOMI anche temporaneamente, ottenere dei risultati (penso a quelli professionali) importanti? Giove casca in seconda, sole in decima la luna in terza che per una che scrive è ottima... ho preso lucciole per lanterne o ho intuito qualcosa di giusto? Ho letto tutti gli esempi fatti dalla coppia autoriale e li ho compresi (Senna, Maradona eccetera), ma mi riesce difficile capire fino in fondo. Così, pensierino dell'anno.
saluti di buon 2008
Cara Paola,
sì, hai compreso benissimo. Tuttavia, l'Astrogeografia, che come ho scritto altrove è quasi matematica pura insieme all'Astrologia Attiva, ha delle sue regole precise. Per esempio le Case sembrano non avere alcuna importanza e ciò che è veramente fondamentale riguarda la posizione dei vari astri ai quattro angoli del cielo. Sto aspettando una notizia ufficiale e, spero, entro pochi giorni, di rappresentarvi un ennesimo esempio spettacolare di applicazione di Astrogeografia. Per adesso ti invito a rileggere il libro sotto tale angolazione e ti preciso qualcosa che non tutti sanno. Praticamente tutti gli astrologi hanno sempre attribuito la paternità dell'Astrogeografia a Jim Luis, californiano, agli inizi degli anni Settanta. Jim Luis subì anche una causa, in tribunale, da parte di Neil Michelsen che dichiarava di avere scoperto lui il metodo, ma si sbagliavano entrambi... Il bravissimo Enzo Barillà, studiando com'è solito fare, nelle biblioteche antichissime del nostro Paese, ma anche in quelle straniere, scoprì un aforisma di Girolamo Cardano che, diversi secoli fa, aveva spiegato, nel dettaglio, le regole dell'Astrogeografia, una materia a mio avviso straordinaria che funziona perfettamente, soprattutto se abbinata all'Astrologia Attiva.
È un peccato che il nostro eccellente collega Andrea Rossetti non voglia gratificarci con la sua presenza (ha una specie di repulsione per Internet) perché egli l'ha studiata e la studia moltissimo. Mi permetto di commettere un piccolo abuso, dandovi l'indirizzo di posta elettronica del prof. Rossetti: andrea.rossetti0.alice.it. Vi inviato a scrivergli, ma soltanto per insistere a farlo partecipare attivamente alla vita del nostro blog. Di nuovo Buon Anno a Tutti.
Leggo con ritardo l'intervento di Paola sull'astrogeografia che tanto interessa anche me.
Il libro che lei cita io non lo trovo, mi dicono che non è piu' in stampa.
Se così fosse sarei lieta di approfittare del nuovo modello di stampa di cui parla Ciro nella pagina seguente per averne copia.
A suo tempo chiesi a Ciro di
studiare per me la mia mappa astrocartografica e individuammo alcuni luoghi non facilissimi per la verità in cui trasferirmi (il migliore era Calcutta nel mio caso).
Ora, fermo restando che non si puo' mai dire mai, Ciro mi disse che lo stesso effetto poteva essere ottenuto "avendo a che fare" con quel luogo e non essendo fisicamente là.....se ho ben capito.
Per esempio, fare affari con un'azienda di calcutta via internet (nel mio caso data la citta' scelta) ecc ecc
Grazie Ciro se vorrai intervenire ancora sull'argomento, che insieme alle Rivoluzioni Lunari, per me è interessantissimo.
Bene, allora dirò qualcosa in più sulla questione “print on demand”.
Da sempre i libri me li preparo in casa, anche quando poi me li stampa un grande editore come Armenia. Il dr. Armenia non ha bisogno che io mandi lui le pellicole, ma è una mia esigenza, per evitare il maggior numero di refusi. Durante la stesura di ogni libro il bravo e caro amico Lorenzo Vancheri, davvero un editor eccezionale, legge e rilegge, insieme a me, i vari capitoli in Word del libro e, in alcuni casi, arriviamo anche alla trentesima revisione dello stesso capitolo. Poi con l’altro amico Pino Valente impaginiamo il libro con l’ottimo e vecchio PageMaker: utilizziamo una gabbia già precostruita da noi e inseriamo testi e disegni. Alla fine facciamo un controllo finale su di un file unico di tutto il libro che ormai è diventato un PDF e lo controlliamo sia io che Pino Valente e Lorenzo Vancheri. Quando tutto ci sembra OK, allora stampiamo le pellicole su “carta mozzarella”, utilizzando una laser postscriptum nella modalità mirror (specchio): cioè otteniamo dei negativi fotografici che andranno direttamente in mano al tipografo senza altri passaggi intermedi.
Ovviamente, tranne alcuni casi di vecchi libri andati perduti per la rottura di hard disk (quando non facevo continui backup del mio lavoro), conservo una buona parte dei miei libri già pubblicati nel formato PDF.
Che cos’è la stampa denominata “print on demand”? Come dice la frase: stampa a richiesta. Per esempio, due miei libri introvabili, “Il sale dell’astrologia” e “Come scoprire i segreti di un oroscopo” si possono richiedere alla mia amica Franca Maenza, che scrive anche su questo blog, e lei, con la sua stampante personale, stampa una copia del libro quando riceve una richiesta.
È un buon sistema, un po’ artigianale, ma sicuramente superiore alla fotocopia del libro, che permette di ricevere libri ormai introvabili.
Poi esiste il “print on demand” industriale. Quest’ultimo dipende dalla tecnologia usata dall’azienda che lo gestisce. A dispetto del degrado in cui i governanti hanno gettato questa meravigliosa regione che è la Campania, possiamo vantare una schiera lunghissima di bravissimi artigiani, artisti, pensatori, imprenditori, ecc. Uno di questi è il titolare della Print Sprint di Napoli, anche amico personale mio e di Pino Valente. Uomo giovane e brillante è sicuramente all’avanguardia, in Italia, con attrezzature di ultimissima generazione e personale superspecializzato con cui è in grado di riprodurre un libro, partendo da un file PDF, anche venti copie alla volta, in bianco e nero o a colori, con copertina semplice o plastificata, con carta a scelta del cliente e rilegato in differenti modi.
Dunque, se parliamo di un libro di quasi seicento pagine per il mercato francese, non possiamo pensare a una confezione tipo fotocopie, ma a qualcosa che sia molto vicino alla qualità di un libro stampato dai migliori artigiani tipografi. Il vantaggio per il committente, in questo caso io, sta nel fatto che posso by-passare il distributore (che trattiene, generalmente, dal 55 al 70 per cento del prezzo di copertina del libro) e vendere il libro via Internet, tenendone da parte una ventina di copie per volta, dato che i tempi di consegna da parte di un’azienda come la Print Sprint sono, in genere, di pochi giorni.
Ecco, questo mi sembra un esempio splendido di come si possano usare le nuove tecnologie.
Va da sé che il libro deve arrivare all’azienda che stampa già in formato PDF, ma oggi si può passare anche direttamente dal Word al PDF schiacciando semplicemente un tasto…
Salve a tutti volevo solo lasciare un commento riguardo all'ultimo compleanno mirato trascorso in venezuela.Ero un po preoccupato perche' la coincidenza tra Dublino e Parigi e poi da Parigi e Caracas era solamente poche ore cosi' anche su consiglio di Ciro Discepolo ho deciso pagando un po di piu' di partire la sera prima..Ho fatto bene perche' quando arrivo al check in mi annunciano che il mio volo da Parigi per Caracas e' stato cancellato.Cosi' dopo aver cercato di impietosire l'operatrice al desk dell'Airfrance riesco a farmi imbarcare per Francoforte dove il giorno seguente prendo l'aereo per Caracas.Avendo Venere in nona nella scorsa rivoluzione solare riesco anche a scroccare un viaggio in business class.La permanenza in Venezuela e' stata senza infamia e senza lode ma quello spettacolare e' stato quello che mi e' successo al ritorno.dopo sette anni in un call center sono riuscito a cambiare dipartimento e quest'anno a giugno mi sposero'
Un caro saluto a tutti
Stefano
Benvenuto anche a Stefano da Dublino: il suo battesimo in questo blog è stato meditato a lungo e sofferto, ma - come potete leggere - ci ha regalato una perla assai particolare. Speriamo che torni a farlo.
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