Fresco di giornata!
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La storia che desidero raccontarvi oggi riguarda un mio compleanno che fu duro sotto il profilo turistico, ma che mi indusse a riflessioni importanti, credo.
Sono stato tre volte in Cina, in
Giunsi a Baotou la sera tardissimo, intorno alle 23.30. All’aeroporto di Pechino mi ero accorto che ero stato colpito da una fortissima congiuntivite, nonché da febbre abbastanza alta e da problemi allo stomaco: stavo partendo per un luogo dove non esistono farmacie occidentali, ma ci voleva molto
Giunsi così a Baotou e feci bene a portarmi dall’Italia il nome dell’hotel scritto in caratteri cinesi. Infatti i tassisti
Il taxi era un’auto vecchissima (non so di che marca perché non mi intendo assolutamente di auto), ridotta molto male, soprattutto senza ammortizzatori e così intrisa di fumo da dare la nausea.
L’autista del taxi si avviò a velocità sostenuta, piuttosto eccessiva, per strade buie e deserte. Immaginavo che il centro abitato e l’hotel dovessero essere a pochi minuti dall’aeroporto, ma pur superando quella che, secondo le mie aspettative, avrebbe dovuto essere Baotou città, proseguimmo a tutta velocità lungo una strada sempre più buia, disabitata e senza case nelle vicinanze. Dopo 45 minuti di questa corsa senza spiegazioni, confesso che ebbi un po’ di paura. Fortunatamente, però, dopo altri dieci minuti finalmente giungemmo a questa specie di cattedrale nel deserto che, come seppi in seguito, era stata terminata solo pochi giorni prima.
Alla reception nessuno parlava inglese, né i portieri né il direttore che era venuto apposta per accogliermi.
Avevo bisogno di un paio di forbicine e chiesi: “Please, I need scissors”. Silenzio assoluto e un po’ di imbarazzo. Pensai, allora, di produrmi in una imitazione e sceneggiai un taglio di capelli, un taglio di foglio di carta e molte cose ancora, ma gli sguardi restavano interrogativi.
Alla fine provai a imitare il taglio delle unghie e finalmente ci fu un piccolo grido collettivo e unisono: mi portarono un tagliaunghie.
A questo punto avevo bisogno
Verso il 20° piano trovai l’ingresso di un locale (discoteca con musica assordante e piscina holliwoodiana). I mongoli sono, generalmente, molto belli e soprattutto alti, molto alti. Fuori di questo locale vi erano bellissime ragazze con minigonne audaci, probabilmente accompagnatrici o qualcosa del genere, e dei giganti con auricolare che avevano tutta l’aria di essere dei “buttafuori”. Rivolgendomi a una delle ragazze, allora, tentai
Anche la notte fu abbastanza dura perché la puzza tremenda di vernice fresca alle pareti richiedeva la finestra aperta, ma da questa entravano a decine le cavallette. Insomma, l’inizio della mia trasferta fu piuttosto pesante.
Il giorno dopo passai davanti alla reception e una ragazza con aria gentile e storpiando le parole azzardò: “You breast day?” (Tu giorno seno, mammella?). “Sorry, I don’t understand”, ma poi capii che, avendo lei
La sera vollero addirittura strafare e
Fortunatamente quei ragazzi non si persero d’animo e mi sembrò di capire che volevano suonare un loro pezzo che era meglio di quanto avevo appena chiesto.
Così fecero.
Questo durissimo viaggio,mi insegnò, sul campo e non in teoria, che il viaggio è sempre meraviglioso perché corrisponde all’archetipo di quel viaggio più importante che ciascuno di noi fa nel brevissimo attraversamento di questo universo, un viaggio che dovrebbe farci crescere soprattutto vedendo il bello che c’è nelle cose e nel prossimo.
Questi giovani non conoscevano le lingue, il turismo, il computer e la cultura straniera, ma erano pieni di umanità e sospinti da forti sentimenti di ospitalità, con, alle proprie spalle, una cultura di diversi millenni più antica della nostra.