Nel regno di Nettuno
di Luigi Ferdinando Moretti
Se c'è un pianeta misterioso, questo è proprio Nettuno: insieme ai confratelli Saturno e Plutone, naturalmente. Però, mentre questi due in fondo in fondo sono comprensibili, il primo no. Il mistero di entrambi, infatti, è solo in un eccesso di egocentrismo introverso, o di istinto profondo scatenato: perché volendo è facile capirli e assecondarli a proprio vantaggio.
Invece Nettuno no, non è facile capirlo o prevedere le sue azioni: lo si aspetta da una parte e arriva dall'altra, si è certi che vinca e invece perde, si fa in modo che si arrabbi e invece resta tranquillo, o viceversa. Insomma, è impossibile capirlo.
E del resto è logico: gli altri due accennati sono sempre basati sulla Terra, superficiale o profonda, ma che ha comunque una forma, mentre Nettuno è basato sull'Acqua, che non ha forma. Tranne, forse, quella dell'onda sotto l'influsso del vento e delle correnti ma che, quando è tranquilla, è fusa con tutto il suo ambiente come una cosa sola.
E così è Nettuno, perché del tipo gli è caratteristica un'indeterminazione psichica che lo fonde con l'ambiente circostante, fosse pure di famiglia, o di folla, o anche un prato o un bosco, o il silenzio della sua stanza. Perché egli non è là, è sempre altrove, e confini fra sé e l'altro sono sempre labili.
Così, se starà a casa, sentirà sempre musica, perché gli altri si accorgano che lui è lì e non è sparito, o si è confuso tuffandosi nelle pareti della sua camera, come nei sogni magici di castanediana memoria.
Infatti è sempre silenzioso e tranquillo, ma non di quel silenzio saturo di tensione o di minaccia, tipico degli altri due pianeti accennati, bensì quello tipico di un'assenza, di un vuoto, di un'impossibilità di assumere una forma definita, per chi vorrebbe essere invece tutte le forme.
Così, lui per svegliarsi e ricordare a sé stesso, nonostante tutto, di esistere, indossa maglioni e vestiti dai colori vivaci, camicie pazze e fluorescenti, all'hawaiana: che porta benissimo senza sembrare ridicolo, perché di un'innata eleganza dell'animo e del corpo, che gli fa perdonare tutte le sue pazzie.
Infatti, come carattere è anche simpatico e sta bene con tutti: gli si perdona facilmente la sua indeterminatezza che, però, gli permette di identificarsi con loro e sintonizzarsi sulla loro lunghezza d'animo. Così, lui è il tipo che è amico di tutti quanti, e non di un solo amico ma di tutta l'umanità.
In famiglia è il beniamino, a scuola non ha nemici: e, mentre gli altri due tipi sopra, lì sono perennemente in guerra, lui fila in perfetto accordo con tutta la classe, dal primo all'ultimo. Perché, questo Proteo della vita interiore, non ha nessuno che lo odî, neanche un'antipatìa, niente!
Essendo capace di modellare il suo animo su quello dei suoi simili, per lui è facile, per quanto il suo carattere glielo consenta. Al massimo, se vogliamo, sentirà una vaga avversione per qualcuno che è proprio opposto a lui, sempre pronto però a cercare di capire e perdonare.
Così, questo suo doppio desiderio di distinguersi e insieme di fondersi con tutto il mondo circostante, forma il dipolo dei suoi interessi personali. Da una parte, infatti, egli cerca assolutamente di distinguersi dai suoi simili (intendendo quelli che gli sono vicini, perché sa bene che non c'è nessuno simile a lui), oltre che nella scelta delle camicie e dei vestiti, anche in quella della musica, eccetera.
E vogliamo forse dimenticare lo sport? Perché questo tipo è il classico sportivo, e anzi tifoso, di una qualunque delle squadre del cuore (da notare l'ultima parola, che indica invece il polo opposto), di solito di calcio, ma anche di qualsiasi altro sport: basta che gli permetta di essere almeno sé stesso!
E se lui è romano sarà invece, mettiamo, del Milan, senza spiegarsi il perché: dice solo che gli piace, o magari fanatico della pallacanestro o del tennis, tutte squadre diverse dalle solite, sempre per distinguersi dalla gente lì intorno a lui.
Però, questo accenno allo sport e a questo suo lato ingenuamente fanatico, rivela bene l'altra parte di sé stesso, e cioè il bisogno di fondersi e confondersi con l'ambiente circostante. Perché, spero che nessuno avrà ancora qualche dubbio sullo stato di folla, che proprio lo sport veicola fra tanti!
Infatti nello sport, che è in sé profondamente irrazionale, non ci sono certezze razionali tranne quella del competere e vincere o, come si dice, partecipare. Ma, soprattutto, il gusto di una folla plaudente a quel che altri fanno e che, singolarmente, ciascuno di questa non ha tempo o voglia di fare, è quel che è propriamente Nettuno.
E che, il suo nome (da Neti-Neti), significhi anche Nessuno, non è certo un mistero: perché, chi c'è dietro a quegli urli, spaventosi o affascinanti a seconda del carattere, della grande folla sportiva domenicale, se non l'urlo vasto del vento che spazza le cime dei monti o le onde infuriate del mare?
E pure se l'urlo del vento (per carattere), devo ammettere che mi piace più di quello della folla, pure in fondo entrambi sono la stessa cosa. La stessa tendenza di un io piccolo e limitato, meschino, a uscire fuori di sé nella grande estasi del Tutto che diventa un mondo e anzi l'universo.
Quindi, Nettuno è anche un asceta, tendenzialmente anche un mistico o un santo, che rinuncia al proprio io per averne uno più grande. E, pure se francamente mi riesce difficile, nei tifosi di cui sopra vedere dei santi, tuttavia forse le cose stanno proprio così: perché il santo fugge sempre da una necessità, che spesso è biologica e sensuale.
E allora, da che deriva l'impulso allo sport, se non da una tendenza alla sublimazione di complessi psichici e sessuali? Perché non lo dico solo io, ma anche il famoso Freud (e chiedo venia ai lettori se ricordo che, secondo lui, essendo questa una cosa comune a tutta quanta l'umanità, lo sport sarebbe la sublimazione dell'omosessualità latente della società...), che certo se ne intendeva bene.
Però non è soltanto questo, e non è certo parlando del sesso, che si ridurrà il profondo impulso a uscire da sé stessi, a essere una stessa anima e uno stesso corpo con tutto l'universo, che si risolverà il problema nettuniano, che è anche quello di Dioniso (però con più valori Ariete e Scorpione).
Il nostro amico Nettuno, infatti, vuole l'infinito dentro di sé ma, appunto per questo, essendo anche un essere limitato, ne ha paura. E quindi cerca una via di mezzo fra entrambi, cosciente che forse non ci riuscirà mai. E da questo deriva la sua tristezza e la sua malinconìa, perché non è un tipo allegro chi non si sente bene in sé stesso: ed è appunto lui (che, guarda caso, è anche mio fratello), alla domanda da me fattagli: Ma non ti capita mai di sentirti fuori posto?, risponda pronto: Sempre!
Ed è tipica di Nettuno questa risposta, che denota anche una tristezza vaga (perché per quella profonda occorre un grande io) di non essere abbastanza forte da essere sé stesso, e non abbastanza debole da evadere del tutto: ma si fonda con una gentilezza spontanea, come di chi negli altri riconosca tanti altri sé stessi, e sia dispiaciuto di non potersi fondere con loro, come anima e corpo.
Così, essendo tanto spersonalizzato da sembrare più un'ombra che un vero sé stesso, egli è partecipe suo malgrado di tutte le suggestioni dell'arte e dell'armonia, prima fra tutte la musica. Che magari gli serve per non pensare e sciogliersi in un mondo della felicità, ma anche per sentirsi un io più potente, o un qualcosa che non riesce ad essere.
Per questo lui ha in sé il germe di tutte le arti, e parteciperà misteriosamente di ognuna: sembrerà un attore nato, pure se non ci è portato e neanche ci pensa, per il suo gentile aspetto, la sua bellezza fisica, e la morbidezza e bontà del suo carattere, che non farebbe mai del male a una mosca. E con grande rabbia degli attori veri, che sono tutt'altra cosa.
Se fa poesie, il ché gli capita, tutti lo prenderanno per il classico poeta, bello e delicato, mentre il vero poeta è brutto, scorbutico e scostante col mondo, che pure ama più di sé stesso: ma che ne sa la gente? Se si occupa di pittura, o di musica, sembrerà subito il tipo adatto, mentre quelli veri non lo sembrano mai e faticano a convincerne gli altri, che però credono sempre di più al primo.
In ogni caso lui sarà sempre un fallimento: sa benissimo che non sarà mai un grande poeta, o pittore, o attore, o musicista, e ne soffre, ma non può farci niente. Perché, per essere di questi, lui dovrebbe avere un io più grande e tante difficoltà, che invece non ha quasi mai: e se gli va tutto bene con tutti, come fa a diventare qualcuno?
Per cui, sentendo in sé il germe di tutte le arti e non essendo capace di seguirne nessuna, perché per questo ci vorrebbe carattere, cerca di dimenticare e dimenticarsi con gli stupefacenti più in voga, che non sono poi soltanto quelli che sapete.
Infatti, cos'è se non una droga lo sport? Quello in cui si sente un'anima sola con tutti, e si dispera come se fosse vero di cose che non lo riguardano? Urlando in sintonia con tutti (cosa che ripugna, e sorprende, chi ha un minimo di carattere) dei punti della fantasia irreale di un sogno? Perché sono solo i nettuniani che fanno il successo, anche economico, di cose come il calcio e il totocalcio, il lotto e l'enalotto, o il totip (adesso, pare, anche via computer e magari Internet), e cose del genere.
Oppure, quale migliore simbolo nettuniano del vino? Non per niente parlavo prima di Dioniso. O anche dei liquori, vissuti magari in via conviviale, fra amici, oppure il fumo di tutti i generi, dalla sigaretta classica all'oppio, o anche alle droghe.
Però, non crediate che il nostro amico sia così stupido da diventare sempre un drogato: per lui una cosa vale l'altra. Mio fratello, ad esempio, non ha mai fumato o, ch'io sappia, preso droghe: solo ogni tanto vino e liquori fra amici, la musica sempre, e soprattutto lo sport! In cui è maestro.
Queste droghe, questi stupefacenti (che, dalla parola, indicano pure che servono a produrre stupore), sono per lui una via d'uscita alla noia e alla tristezza che lo prendono assai spesso. Moltiplicando la sua leggera angoscia, che è come un qualcosa che ci stringe al naso o alla gola (e di questo me ne intendo anch'io), facendoci sentire come immersi uno spazio vuoto, dove si ode solo come un lungo lamento di agonia silenzioso.
E' chiaro che è solo un'immagine, ma che esprime bene il senso di vuoto del tipo, che teme lo sperdersi nel non essere, o il perdere sé stesso senza nulla in cambio. E allora è meglio fondersi con tutti, sparire magari come io, ma diventare come un solo grido immenso, qualsiasi purché sia di gioia, purché sia di felicità, purché sia nella pienezza dell'essere.
Del resto, non è difficile capire come questo tipo ricerchi i sogni, come parte vitali di sé. E se non è con la droga o l'oppio (per non parlare del peyote) che danno le visioni, è il ritornare all'infanzia, il rifarsi bambino, il coltivare le cose di un tempo (in illo tempore) quando ancora si sognava e si era felici. Così lui conserva tutto di quel tempo antico.
E questo è confermato dalla simpatia istintiva che il tipo suscita negli altri, quasi come per la tenerezza di un bambino sperduto in cerca di protezione: come un calore che emani da lui, che inconsciamente cerca di ricreare intorno a sé il paradiso perduto dell'infanzia, che è ormai perduto per sempre.
Così lui rimane triste e malinconico, ma non arrabbiato (e come arrabbiarsi col destino?), e si cerca un sostituto dell'infanzia nella madre, o nella sua donna, che deve essere come lei, riportarlo in un ambiente di calore e di protezione, di felicità.
Sfugge solo le cose che non comprende: e, per quanto mi riguarda, il nettuniano è il solo che abbia un'antipatia istintiva per i nostri studi (sia mio fratello che un altro amico del segno, dei Pesci), e specialmente la filosofia e l'esercizio arido del pensiero lo lasciano freddo.
Invece, ho notato come sia sempre molto interessato alle macchine, prime fra tutte radio, stereo e tivù, videoregistratori e simili. Sarà quasi un compenso alla sua natura troppo fluttuante e angosciosa, che lo porta a identificarsi con qualcosa che, per definizione, è fuori dall'umano come ad esempio i computer? Questo anche se, avendo io già detto che i computer sono una porta sull'inconscio, e quindi sul mondo nettuniano, non è poi in fondo così misterioso.
E concludendo questi pochi accenni sul tipo nettuniano, che potrebbero facilmente continuare, dovrei parlare del mondo psichico e naturale. Il primo è quello dei sensitivi e dei medium: e io, essendo anche un nettuniano (ho Nettuno in Bilancia in dodicesima, e quindi quasi all'Ascendente), sono una specie di medium.
Però, avendo anche in alto Plutone al medio cielo insieme alla Luna (che è in Leone), non ho un rapporto armonioso con la gente, ma conflittuale. Da piccolo, a scuola ero perseguitato proprio da quei tipi nettuniani di cui sopra: che però non erano come mio fratello, ma aggressivi e violenti. E allora si vede che non tutti i nettuniani sono dei santi.
E questi qui, sentendo per istinto che io ero diverso da loro, mi votavano un odio feroce e implacabile senza alcun valido motivo (la stessa cosa, poi, che ho ritrovato anche nella giovinezza di Papini), se non per il fatto che io non ero come loro. Così ho passato anni d'inferno, e sono diventato un teorico dell'angoscia esistenziale (altro che Sartre!).
Poi, anni dopo, mi sono accorto che era il mio potere psichico, o medianico, che li spingeva irresistibilmente ad interessarsi di me, per loro in quel modo: esorcizzandolo in scherzi, risa, tormenti e simili, per opporsi a questo fascino inconscio che io esercitavo su di loro. E mica per niente: parlo di gente mai vista né conosciuta prima, che per strada mi salutava!
Ho anche scoperto, sempre in seguito, che era la mia paura degli altri che li spingeva a questo: così, controllando la mia paura, sono diventato praticamente invisibile, e ormai nessuno mi dà più fastidio. Quando mi addormento, sento sempre intorno a me degli scricchiolii dei mobili, delle scaffalature metalliche, e persino dei computer!
Sul piano pratico e naturale, io credo che i principali organismi che si possano chiamare nettuniani, siano proprio le muffe e i funghi. A parte il fatto, non trascurabile, che per vivere hanno bisogno di molta umidità, se non di freddo, è una specie vitale caratterizzata da un principio di indeterminatezza e di confusione.
E, siccome io li ho molto studiati (oltre che all'università, anche vivendo adesso in una casa vecchia e molto umida), so bene come funzionano.
Per prima cosa d'estate non ci sono, perché il caldo inibisce la loro crescita, oltre all'umidità che naturalmente d'estate è minore. Invece in inverno, appena comincia a fare più freddo, e naturalmente umido, crescono subito... come i funghi!
Le belle pareti bianche estive, a un certo punto pare che si stiano sporcando o impolverando, per chissà quale misteriosa causa. E insieme crescono anche dei granuli che sembrano fatti di salnitro, o di qualcosa del genere: come se fossero dei depositi chimici o inorganici, e non invece degli esseri viventi quali sono.
E a parte la presenza, che però è successiva, dei muschi, che danno alle pareti il classico colore verde erba, se non si sta bene attenti presto ci si trova in un'autentica grotta stillante umidità! Però, all'inizio, ci sono soltanto le muffe accennate sopra.
Che vengono tollerate finché, non sopportando più quell'impressione di grigio e sporco che macchia il bel bianco delle pareti (e quindi è più una cosa estetica e psicologica, perché in fondo le muffe non danno fastidio a nessuno), si corre ai ripari cercando di eliminarle in tutti i modi possibili.
Il primo e il più usato, anche perché non costa quasi niente, è lo straccio o la spugna umida da passare sulle pareti: e qui abbiamo la prima sorpresa che i funghi ci riservano.
Infatti, quello che prima ci sembrava una cosa profonda e inamovibile, una roccia quasi minerale e cementata sul muro bianco, si rivela la cosa più labile che esista e che con un soffio sparisce, lasciando solo la parete bianca e un forte odore di spore: in poco tempo la parete, che ci sembrava quasi rovinata, ritorna tale e quale era d'estate, prima ancora che la muffa crescesse, e come se non fosse mai esistita!
E forse, magari, io sarò un po' troppo filosofico o simbolico, ma questa è una cosa che mi ha sempre colpito e mi ha fatto pensare. E non posso fare e meno di vederci un simbolo nettuniano, della vera essenza di questo misterioso pianeta. Che dice come tutto sia soltanto apparenza e niente sostanza, come in realtà niente esista e tutto scompaia.
Mi pare logico: ma per capirlo bisogna aver prima avuto a che fare con queste creature nettuniane, e magari capirle (non dico amarle, perché sarebbe un po' troppo). E sentire in quell'odore di spore che si leva mentre loro spariscono, quasi un lamento di dolore per la vita che se ne va, e una tristezza senza fine.
E' la stessa sensazione di malessere vago che si sente anche vicino a loro, e che magari può sembrare causata dal fastidio estetico di vederle, ma forse è proprio lo stato d'animo (tipicamente nettuniano) che queste veicolano: naturalmente bisogna essere un po' sensibili per sentirlo.
La cosa che più sconvolge, è il vedere che con un minimo di fatica e di volontà, le pareti ritornano bianche e immacolate, come prima in estate (anche se poi, naturalmente, le muffe ricrescono). E insieme si sente come una fatica interna, una pesantezza, non dovuta solo al lavoro: come se eliminando le muffe, avessimo eliminato qualcosa di noi stessi, e la parete fossimo noi che ci siamo ripuliti interiormente.
Inoltre ho notato che all'inizio, dopo che sono stati eliminati, i funghi ricrescono più lentamente. Ma dopo che hanno preso più forza, crescono rapidissimi in ore e giorni! Come se i singoli organismi, che sono collegati fra loro da un contatto telepatico, o da una specie di coscienza collettiva, sappiano sempre dove e quando è il momento di crescere.
E io sento la loro gioia vitale che sale, anche se non posso certo assecondarla. Ho notato pure che, più loro vengono eliminati da una parte, più crescono da un'altra. È come se l'ente psichico delle muffe locali, sapesse sempre come fare.
E, naturalmente, se noi usiamo i preparati antimuffa in commercio, che però sono a base di cloro, e mandano per giorni un odore tremendo (o come a dire che la cura qui è peggiore del male), possiamo anche sloggiare le muffe per più tempo, ma secondo me non valgono i soldi spesi.
Io ho imparato, dalle muffe di casa, come siano labili le apparenze del mondo, e le cose più spaventose, che come un soffio scompaiono: sempre che abbiamo un pò di coraggio. E mi dicono che ogni cosa, in fondo, non è altro che una tigre di carta, come dicevano i cinesi, o un ologramma del computer, come dico io.
Che, per chi non lo sapesse, è una specie di proiezione tridimensionale (non ancora realizzata praticamente) con le apparenze della realtà. Che sembra, o sembrerebbe, solida ma in realtà è fatta solo di luci colorate (basti solo pensare alle immagini del cinema) e senza sostanza, attraverso cui si può anche passare la mano, perché in realtà non esistono: o meglio non hanno materia reale e tangibile.
Sono della stessa natura dei fotoni che ci vengono dal Sole, dai pianeti e dalle stelle: ci sono ma non ci sono, esistono ma non esistono. Sono lì, in uno spazio apparentemente vuoto, in cui inviano particelle immateriali che vengono però recepite dai nostri organi di senso visivo, e tradotte in correnti elettriche del cervello, in immagini e sensazioni personali, che esistono soltanto per noi.
Prima, ad ogni fascio di fotoni, che si rifletteva sempre su qualcosa di reale, era legato un oggetto fisico che potevamo anche sentire o toccare con altri organi di senso. Oggi, invece, abbiamo creato delle macchine che possono proiettare luci che non corrispondono a niente di solido o di reale: come cinema, televisione e computer.
E inoltre, il fatto che in passato (nei miei Studi sui computer & Internet, su Ricerca '90 n. 31) ho già detto come i computer siano in realtà una porta sull'inconscio, dato che Nettuno è chiaramente il mondo dell'inconscio, prova come anche i computer siano nettuniani (secondo me sono uraniani e nettuniani, come dirò poi).
Parlando invece degli altri mondi nettuniani, questi non sono solo lo psichismo primitivo di muffe e funghi, ma anche quello profondo e impersonale che ci riguarda tutti.
E chi di noi, che ha un minimo di sensibilità, e avendo per di più la sfortuna di avere un pavimento a marmettoni, pieno di macchie curiose e colorate, non si è perso nella contemplazione, immaginando fantastiche facce che in realtà non esistono?
E' questo il mondo di Nettuno: un mondo che non esiste, ma che se non stiamo attenti minaccia di ingoiarci tutti interi! Quelle facce, sono solo delle forme del nostro inconscio impresse nella pietra, ma che rivivono se noi gli diamo la nostra energia vitale, e perché gli dei (o, sarebbe meglio dire, i demoni) esistono sempre dentro di noi.
La nostra coscienza individuale, infatti, è solo un velo sopra un immenso e orrendo oceano di sensazioni vaste e abissali, che sono più nostre di noi stessi. Perché, prima ancora di essere gli individui che noi siamo, noi eravamo rocce, e muffe, e sogni, e ologrammi del computer di Dio, o di qualche misterioso alieno di una razza ormai estinta.
Immaginiamo l'abisso della coscienza (o della conoscenza) totale, in cui sta tutto: come un infinito disco rigido che lo contenga, e noi siamo solo un programma fra i tanti, che può venire a contatto con gli altri, con conseguenze terribili. Noi siamo veramente separati dal nulla solo da un velo.
Se noi le guardiamo troppo a lungo, e ci facciamo prendere da loro, le facce di pietra si animano e ci posseggono, entrano dentro di noi e ci ossessionano a lungo (per questo basti pensare a Poe) con sogni ricorrenti.
Dopo averle viste è difficile dimenticarle: ormai sappiamo che ci sono e chi sono, ed è bene se ci sono amiche e ci sorridono maliziosamente da un angolo. E abbiamo il nostro zoo personale di ragni e di aquile, o di tigri, o di croci, o di facce ridenti e ghignanti, tutte comprese nel piano del pavimento.
Che è poi come la famosa parete della stanza castanediana, che accennavamo prima, dove lui si tuffava per entrare in mondi infiniti e sconosciuti. Perché noi siamo solo esseri di percezione, e noi siamo qui perché percepiamo di essere qui. E se invece ci lasciassimo trasportare dalla percezione di quelle immagini, veramente di potenza, chissà dove finiremmo... come minimo al manicomio!
Sempre nel linguaggio castanediano, è questo il mondo della seconda attenzione, cioè quella magica o psichica, che possedevamo dall'infanzia ma che poi ci hanno insegnato a dimenticare. E dobbiamo forse accennare che, da piccoli, tutti quanti noi vedevamo le ombre della gente che si muovevano, o parlavamo con delle persone invisibili che solo noi vedevamo, e che forse esistevano solo dentro di noi?
Ugualmente infinito è il mondo psichico dell'anima delle folle e della gente: qui i nettuniani sono di due tipi, padroni o schiavi. I primi, che si sentono offesi e attaccati dall'anima collettiva del mondo, che pure sentono, e reagiscono tenendosene al di fuori. I secondi, che invece si lasciano trasportare.
Io (ebbene sì!) appartengo al primo tipo, gli altri al secondo: e fra me e loro c'è una lotta totale. Di altri come me ne ho conosciuti, ma ognuno di loro era così impegnato a lottare col mondo, da non avere tempo da perdere con me. Mio fratello, probabilmente, è del secondo tipo.
Il mondo del primo tipo, è di sensazioni e impressioni sfumate che mettono in contatto con l'anima del tutto. Così, guardando ad esempio una persona o un gruppo di persone, si ha come il senso di un sentimento comune che da loro proviene, e che viene percepito come l'anima del gruppo.
Oppure, davanti a una pianta, c'è come uno stato d'animo particolare che si ha guardandola, uno stato contemplativo e lontano, maggiormente presente davanti alle pietre o ai sassi, in montagna.
E anche gli animali ci parlano attraverso i sentimenti: perché, osservandoli, ogni loro comportamento viene sentito, capito e tradotto in pensieri da noi stessi. Che, in fondo, veniamo anche da loro.
E, questo, perché Nettuno ci dice che tutti noi deriviamo dalla stessa natura primordiale, che siamo tutti fratelli: uomini, animali, piante e pietre compresi. E, siccome dalla contemplazione degli ultimi tre, riceviamo come il senso di un tempo più lento e vasto, quasi di calma o eternità, ecco che il pianeta della vita diventa anche quello della religione.
Che è quasi inutile dirlo, perché è un classico: chi non sa che, ad esempio, il cristianesimo è una religione mistica del perdono e della sofferenza, o dell'amore universale? Tutti valori nettuniani, che portano chiunque ci creda: perché il mondo religioso, di una totale e completa irrazionalità (che si può comprendere, appunto, solo con la fede), in fondo è sempre quello materno e femminile dell'infanzia.
In cui eravamo ancora in contatto col tutto primordiale, e da cui ci siamo allontanati con lo sviluppo del nostro io individuale. Però, oltre che della religione e della fede, il mondo nettuniano è anche quello stesso dell'arte di ogni tempo e paese.
Infatti, non per niente gli artisti, di solito, creano soggetti religiosi che espongono poi nelle chiese o nei templi. E specie da noi, la religione cattolica è sempre stata fonte di un'infinità di ispirazione per gli artisti di ogni tempo, grandi e piccoli, che in lei si riconoscevamo come in una comune origine.
E si potrebbe dire che il mondo dell'arte nettuniana (chiaramente la sublimazione dei complessi di angoscia già accennati prima), è anche quello del sentimento e del cuore: lo stesso, su un piano più alto, di quello della folla e del tifoso sportivo.
E che sia lo stesso mondo, è ben chiaro a chi sente dentro di sé oscillare il gran mare della vita. A me, che ogni tanto capita, resta ancora il ricordo di questa divina oscillazione del cuore, dall'alto al basso e viceversa, e senza fermarsi mai.
Una volta al campeggio, nella sera calda d'estate, il bosco vicino a momenti mi faceva paura, e a momenti mi appariva bello: come se fossero due facce di una stessa cosa: così è Nettuno.
Un'altra volta, mentre fuori città salivo in un bosco, uscendo a sorpresa sulla via, mi sono trovato davanti una cappelletta religiosa consunta e antica. E ne ho ricevuto una curiosa impressione: come se il tempo intorno a me si fosse improvvisamente fermato e io, fuori dal tempo e dallo spazio, e in uno stato di immobilità interiore, contemplassi un mondo eterno. Davanti a cui il nostro tempo fuggiva, come i decimi di secondo di un tempo ormai impazzito e lontano.
Chiaramente, bisogna avere una certa sensibilità in tema: però, se noi viviamo una vita ascetica e tranquilla, prima o poi dalle acque limpide della nostra anima traspaiono i colori del fondo, e il mondo ci si mostra nella sua veste di eternità.
E' inutile dire che, queste esperienze che nessuno conosce ma che i poeti descrivono, sono patrimonio comune di tutti noi, solo che lo vogliamo. Basta che ci dimentichiamo un istante di noi stessi (magari col vino), e il mondo ritrova subito il suo aspetto eterno, fresco, spumeggiante e divino, e diventa un paradiso.
Perché l'inferno in cui viviamo, è solo dovuto allo stato d'animo del nostro io individuale: se questo sparisce noi torniamo bambini e siamo di nuovo in sintonia col tutto: è questo il segreto della religione. Anche se la cosa è difficile, e tutto ci congiura contro ogni momento... Perché, come diceva anche il Buddha, il mondo è già illuminato e basta che ce ne accorgiamo da soli.
In quanto a me e ai computer, devo raccontare una cosa curiosa: io adesso abito in una casupola antica, di qualche secolo fa, quando la gente si faceva le case da sola, con tutte le conseguenze del caso. E infatti, l'appartamentino in cui abito, è formato praticamente da due case diverse.
La prima ha come ingresso un cancelletto, scale, un balconcino, una porta e una rampa di una decina di scale a sinistra. L'atrio è formata da due piani collegati da un paio di scalini: quello sopra è la cucina e il minibagno, quello sotto è l'anticucina, e sopra c'è anche una botola che porta sul tetto piano superiore. La seconda invece è diversa.
Consiste in una porta bassa e strettissima, che attraversa un muro massiccio spesso mezzo metro, e che chiaramente appartiene a un'altra casa. Infatti, salendo i due scalini che la separano dalla cucina, si entra un una stanza enorme e alta col controsoffitto orizzontale (sopra c'è il tetto di tegole inclinato), e tutta bianca, dove tengo i computer.
Se ho detto questo, è per far notare che è solo nella prima parte della casa, quella col soffitto basso e le pareti umide e sottili, io coltivo i miei funghi... Infatti, la seconda parte col soffitto alto e vasta, non è affatto umida, o comunque molto di meno. E in più, la prima parte è molto e molto più fredda della seconda.
Così io, che mi diverto a vedere un simbolo in tutto, la mia camera l'ho chiamata Urano, e la mia cucina Nettuno! Perché, spero che non dovrò far notare che nella prima ci tengo un sacco di macchine, tutte sotto il segno uraniano: computer, radio, telefono, termosifone elettrico, aspirapolvere, macchine da scrivere elettroniche, e simili. E inoltre il colore sempre bianco e pulito delle pareti, la luce intensa che c'è, la vista sul panorama e sul bel tramonto, eccetera eccetera.
E soprattutto lo stato d'animo che ho lì, lo stesso della stanza dove un tempo vivevo: come un senso di freddo e lucidità, quasi fastidiosa all'inizio ma poi calma e rasserenante, come un senso di libertà.
Invece, nella cucina, c'è un'umidità incredibile che si condensa sulle pareti, e il tetto e la luce bassa, la muffa sulle pareti, la povertà del mobilio, danno come un senso di tristezza e di precarietà, il senso che siamo tutti di passaggio su questa terra. E poi gli scalini da un lato all'altro, e il freddo che spesso c'è, ne fanno come un luogo triste e desolato.
E siccome questo è il luogo dove mangio o mi lavo, cioè è il luogo delle funzioni tipicamente umane, mentre la mia camera è un luogo non umano: intendo, dove si esercita solo il pensiero.
Così io, passando da una stanza all'altra, praticamente passo da Urano a Nettuno, e viceversa. E sento bene la differenza, quando immerso nel caldo e nella serenità della prima, scendendo i due scalini mi trovo nella tristezza e nel freddo della seconda. Oppure, quando dal freddo umido e malinconica della seconda, risalgo nel caldo arido e lucente, nella calma della prima.
E, anche per questo, io casa mia l'ho chiamata scherzando il Castello del Graal (il Graal sarebbe il computer), dato che solo qui io posso stare al di fuori del mondo, nel mio piccolo paradiso personale, e che è separato dal mondo esterno solo da un paio di scalini (più quelli delle scale, naturalmente).
Luigi Ferdinando Moretti
Pubblicato sul numero 36 di Ricerca '90