Gianni Agnelli
di Ciro Discepolo
Molti si chiedono, pensando a volte a Gianni Agnelli, da molti denominato semplicemente «l’Avvocato» o anche «il padrone della Fiat», se egli sarebbe giunto ugualmente all’onore delle cronache anche se non si fosse chiamato Agnelli e se non avesse avuto molte decine di miliardi di lire alle spalle. II dubbio sul merito personale con cui questo notissimo personaggio è riuscito a conquistarsi il favore e il prestigio internazionali è più che legittimo, dato che l’ombra di un destino preconfezionato per lui sembra essere inevitabile, in un caso del genere.
Sarebbe stato possibile ipotizzare un destino mediocre, oscuro, piatto, per il rampollo della più importante (almeno in senso economico) famiglia italiana? La storia ci dice di sì e ci suggerisce un elenco pressoché interminabile di principi, re, papi e capi passati alle cronache future più per la loro insulsaggine che per il posto occupato. Ma ciò potrebbe sviarci dal nostro discorso e dalla domanda che è: «Gianni Agnelli sarebbe stato “il primo industriale d’Europa” (Newsweek), con un altro cognome e partendo dal nulla, o da poco»?
A giudicare dal suo oroscopo sembrerebbe di no. Certamente sarebbe stato quello che è oggi sotto il profilo umano, caratteriale, fisico, ecc., ma molto difficilmente, per non dire in nessun caso, avrebbe potuto, in un’alchimia di volontà, ingegno, estro, forza, perseveranza e fortuna, creare la Fiat come invece fece suo nonno, il senatore Giovanni Agnelli.
È opinione comune che per riuscire in imprese quali la creazione del colosso automobilistico torinese, per emulare gesta di uomini come l’industriale Ford, e, a livelli più bassi, Olivetti, Pirelli, Borghi, ecc., occorrano tante doti personali di rilievo tra cui spiccano senz’altro l’ambizione, il coraggio, la forza, l’ostinazione, l’inventiva. Doti che non escludono il ruolo avuto dai processi storici nella formazione dei vari piccoli imperi economico-industriali rimasti famosi per il nome di chi li volle per primo, ma che sono state di enorme importanza per la riuscita delle singole imprese.
Vi è poi un altro elemento qualificante il personaggio che possiamo battezzare alla Giovanni Agnelli (senior) e cioè l’«ulcera allo stomaco». Non deve trattarsi necessariamente della fistola sanguinolente che angustia tanti rappresentanti del segno del Cancro e del Capricorno, ma si può considerare come l’emblema di uno stato psicologico permanente che potremmo sintetizzare nella parola «pathos».
In altri termini, lo stato di «ulcera allo stomaco» è l’indice del grado di affettività dell’individuo rispetto ai problemi in generale, ovvero la sua partecipazione emotiva alle vicende della vita quotidiana. Dove non c’è sofferenza, non c’è interesse, e dove non c’è interesse non può esserci lotta per un miglioramento, per un’espansione, per un fine ambizioso.
Se confrontiamo le valenze Gianni Agnelli con gli attributi citati, ci accorgiamo che manca qualche ingrediente. Non si tratta dell’ulcera allo stomaco. Quest’ultima è presente nell’oroscopo dell’Avvocato ed è relativa all’opposizione Sole-Saturno, e alla quadratura Saturno-Ascendente e al segno del Capricorno in prima Casa.
Gli aspetti disarmonici tra Sole e Saturno indicano, come dice Barbault, la presenza di «un Super-Io rigido e severo (spesso in rapporto con un’educazione troppo dura, sotto l’influenza di un padre freddo, distante, ostile o severo, oppure in assenza di ogni influenza paterna) che induce a pregiudizi, princìpi morali esigenti, scrupoli soffocanti, inibizioni, meccanismi d’impotenza, rifiuto di vivere, melanconia, rinuncia, senso di colpevolezza e di autopunizione...».
L’ulcera allo stomaco, la parte-quota di Destino, Gianni Agnelli l’ha vissuta soprattutto come eredità morale (come evidenziato da Federico Capone e il gruppo Astrum in un loro scritto).
Giovanni II, ovvero Agnelli III, insomma il nostro Gianni Agnelli, rimase orfano del padre a quattordici anni e da quel momento suo nonno, il senatore, e Vittorio Valletta, si avviarono a diventare le sue due figure guida, ma anche «ombra». Questi due uomini che a tutto anteponevano il rigore morale e l’attaccamento al lavoro dovevano essere, per il futuro presidente, il richiamo alle proprie responsabilità, il dito dell’inquisizione puntato sui propri errori, il metro di paragone morale, la misura e il peso delle sue azioni.
In un’intervista a Massimo Fini, Susanna Agnelli ricorda di una volta che Valletta si era fatto accompagnare negli Stati Uniti dal giovane Gianni e pretese che durante il volo dall’Italia a New York leggesse quarantasette trattati relativi agli argomenti che avrebbe dovuto affrontare con gli americani... L’Avvocato stimava molto il ragionier Valletta, anche se lo detestava per la mancanza di elasticità. Quest’ultimo aveva una buona opinione del nostro, tant’è vero che l’ultima volta che prese parola all’assemblea degli azionisti Fiat, nel passaggio delle consegne, disse: «Il dottor Agnelli non è soltanto il nipote di suo nonno».
La frase ci riporta al discorso precedente. Si diceva dunque, che l’ulcera allo stomaco c’è. E ci sono anche il coraggio, la forza e l’inventiva. L’ostinazione c’è e non c’è, ma manca l’ambizione o, per lo meno, un’ambizione tanto grande, al di sopra di ogni cosa, tale da giustificare la rottura radicale con il «normale» stato di quiete cui è portato a vivere l’uomo quando non deve raggiungere obiettivi del tipo di quelli citati.
II clou delle energie vitali di un soggetto, la sua libido, i suoi propositi di fondo, ci sono innanzitutto rappresentati dalla posizione del Sole nelle Case. Un Sole in X o in 6a, o in 2a (se la molla principale è l’avidità), fa senz’altro pensare ad un uomo che lotta in tal senso: un Sole in 3a Casa quasi mai. Esso è piuttosto l’indice di una inclinazione ai rapporti sociali, al proprio continuo arricchimento culturale, all’idea della propria persona quale veicolo di scambio. Nel nostro caso: al ruolo guida rispetto ai fratelli. E ancora, il segno di una duttilità mentale pronta a seguire il tempo, le situazioni.
Per un disegno a lunga scadenza occorre invece una fissità di propositi che nel nostro caso non esiste assolutamente e ciò è visibile nella posizione di Sole, Luna e Marte in 3a Casa (valori cosignificanti al segno dei Gemelli di cui non si può certo lodare la continuità) e nella congiunzione Mercurio-Urano. Quest’ultimo è un aspetto particolarmente interessante che testimonia rapidità di pensiero, sveltezza mentale, intuito immediato, noia per le ripetizioni, grande intelligenza. Suo fratello Umberto dice di lui: «Ha il difetto di interessarsi di troppe cose in una volta, quindi è abbastanza instabile. Si annoia, perché sta gia pensando a un altro argomento, insegue un’altra idea, ha paura di perdere qualcosa, ne vuole fare due insieme, possibilmente a mille chilometri l’una dall’altra».
Dunque difficilmente Gianni Agnelli sarebbe potuto diventare un capitano d’industria nell’accezione pionieristica del termine. Ma cosa, se non un capitano d’industria, sarebbe potuto diventare, in altre circostanze, e chi è esattamente quest’uomo definito da Stern «l’ultimo signore d’Italia»?
II «signor Fiat», come lo definì Enzo Biagi nell’omonimo libro edito da Rizzoli, nacque a Torino il l2 marzo l92l, alle ore 2.30. È pertanto un Pesci con Ascendente Sagittario/Capricorno e Luna in Ariete.
Le sue dominanti astrologiche sono essenzialmente tre: Marte, Giove e Saturno; Marte per l’angolarità all’FC, per la congiunzione alla Luna, anch’essa angolare, e perché governa in esaltazione il Capricorno che è all’Ascendente. Giove in quanto signore dell’Ascendente e del segno solare da dove il luminare gli dà aspetto; e Saturno perché signore del Capricorno che si estende in quasi tutto il primo Campo e perché in aspetto al Sole.
Con buona approssimazione possiamo dire che il presidente della Fiat è Marte, Giove e Saturno o, per lo meno, che la sua vita è stata, fino ad oggi, una eloquente raffigurazione delle qualificazioni che tali astri sottintendono. Le tre dominanti, l’Avvocato, le ha vissute separatamente, con poca influenza dell’una rispetto all’altra.
L’infanzia e la giovinezza sono state caratterizzate da Marte: il senso della competizione, la ricerca del primato, il gusto dell’avventura, la passione per lo sport, per le macchine veloci, per i motori. Clara Agnelli dice di lui: «Il coraggio fisico è una sua qualità. Quando da giovane subì un intervento dietro l’orecchio, molto doloroso, e aveva la testa tutta fasciata, non si lamentava mai. Ferito due volte a una gamba e a un braccio nel deserto; un dito congelato in Russia: lo nascondeva, non voleva farlo vedere, e che nessuno glielo chiedesse. Non parla mai della sua salute».
Sempre relativamente al suo coraggio (Luna-Marte angolari all’FC) apprendiamo dal libro di Biagi (varie altre citazioni qui contenute sono prese dalla stessa fonte) che andò in Vietnam dal generale Westmoreland e sorvolò in elicottero il sentiero di Ho Ci Min, ritornando con l’apparecchio crivellato di proiettili.
Ancora le cronache ci parlano di lui come valoroso ufficiale di cavalleria decorato, durante la guerra, in Russia e in Africa, nonché come navigatore temerario che attraversò il Colorado su di uno zatterone e qui ci fermiamo per evitare che nell’oblio di tanta magnificenza la nostra fantasia ce lo mostri nell’atto di attraversare a nuoto il Po, con una «500» nella mano levata a mo’ di bandiera, echeggiando Mao-Tse-Tung.
Scherzi a parte, l’avvocato Agnelli ha dimostrato più volte di essere un coraggioso, per esempio quando rifiutò a Gheddafi di rimuovere Arrigo Levi (bravissimo giornalista di origine ebrea, NdR) dalla direzione della Stampa, in seguito ad una satira che il giornale gli aveva dedicato, nonostante il leader africano minacciasse un blocco arabo contro la Fiat.
All’entusiasmo marziale giovanile, subentrò, per il soggetto, il periodo dello splendore gioviale. Sono gli anni della grandeur, del fasto, della bella vita, delle donne, della mondanità. È il periodo meno eroico, ma certamente quello che gli ha procurato più fama. Sono gli anni in cui diceva: «A me quello che piace sono le macchine veloci, il tappeto verde, le belle ragazze». È certamente ancorato a quei tempi il fascino indiscutibile che ancora oggi sortisce sulle folle e i toni carismatici che la sua figura assunse in rapporto a tali gesta «gloriose» gli sono valsi a renderlo (secondo sondaggi fatti) più popolare, in Italia, del papa, di Panatta e di Berlinguer.
Questa seconda fase che potremmo definire «di godimento» ha lasciato poi il posto a quella attuale, probabilmente l’ultima, legata al severo Saturno. Dice Enzo Biagi nel testo citato: «Di solito, è dopo i quaranta che gli Agnelli si rivelano», e sottintende «nelle responsabilità». All’ardore giovanile ed allo splendore della maturità, è subentrata la coscienza degli anni della meditazione. II suo campo visivo si sposta e alla domanda del giornalista: «Cosa vuol dire per lei il nome Agnelli», risponde: «Responsabilità».
In quest’ottica egli vive adesso il suo ruolo familiare, come continuatore dell’opera di Giovanni Agnelli e di Vittorio Valletta. Così lo vede oggi Fortebraccio, il giornalista satirico dell’Unità: «L’avvocato Agnelli mi sembra una di quelle signore che, essendo state in gioventù di facili costumi, diventano poi madri ineccepibili. Ma c’e sempre, in fondo alla loro saggezza, una punta di crudeltà che non si sa mai se sia dovuta al pentimento o al rimpianto».
In più l’oroscopo ci parla del suo internazionalismo (marcato asse 3a-9a), del «mestiere» e della morte del padre (i motori e la meccanica simboleggiati da Marte in IV), delle decisioni inaspettate in materia finanziaria (l’affare Fiat-petrodollari), ecc. ecc.
Chi sia Gianni Agnelli sembra scaturire da quanto dibattuto finora, ma cosa avrebbe potuto fare se non l’industriale-miliardario?
A modesto parere di chi scrive, egli sarebbe stato un ottimo - nel senso della realizzazione personale - ufficiale di cavalleria ai tempi dei Savoia e di Cavour. Ma egli non lo è e sembra apprezzare la situazione attuale anche se dice, pensando a sé stesso: «È povero chi può determinare pochissime decisioni nella sua vita, perché sono prese dagli altri, ma ci sono anche dei ricchi che non riescono a stabilire quasi niente».
Ciro Discepolo, l977